Cent’anni di orologi

Creato da Louis Cartier, agli inizi del ‘900 nasce il primo orologio da polso di concezione moderna, autentica rivoluzione nel mondo dell’orologeria.

 

Doveva sembrare davvero tutto possibile nella Parigi effervescente della Belle Epoque. In particolare al “re dei gioiellieri e gioielliere dei re” Louis Cartier, lanciato verso un’autentica conquista del mondo del lusso; ma anche al suo eccentrico amico Alberto Santos Dumont, un ricco brasiliano che abitava al numero 150 degli Champs-Elysées, quando non era in volo a caccia di un nuovo record di velocità!
I fatti andarono più o meno così: Alberto Santos Dumont, già cliente ed amico di Louis Cartier, espose a quest’ultimo un problema del tutto personale, ma strettamente legato alla navigazione aerea, ovvero quello della consultazione dell’orologio in volo per controllare tempi e velocità. Come si sa, all’epoca, per orologio si intendeva la classica “cipolla” da taschino: cercarla nel bel mezzo di un ardito volo di velocità non aveva nulla in comune con il gesto elegante di un aristocratico che estrae dal panciotto il suo prezioso segnatempo! Detto fatto, Louis Cartier realizzò per lui un orologio che, con pochissime differenze, è ancora oggi uno dei fiori all’occhiello della collezione Cartier: il Santos.
Tutto questo accadeva tra il 1904 e il 1907. Quell’orologio realizzato per il pilota brasiliano entrava nella storia, insieme ai suoi record di velocità. Ma non perché sia effettivamente stato il primo orologio da polso mai realizzato: al momento questo primato sembra spettare ad un Patek Philippe da donna, creato per la contessa Kocevicz intorno al 1868. E poi ci sono gli orologi costruiti dalla Girard-Perregaux per la Marina tedesca intorno al 1880! Il Santos di Cartier è, però, uno dei primissimi esempi di orologio moderno, ossia di un orologio concepito per essere indossato al polso e a tal fine dotato di precise caratteristiche tecniche ed estetiche, ben lontano, in questo, dalla maggior parte degli esemplari contemporanei o anche posteriori, che appaiono come degli adattamenti dei vecchi orologi da tasca alle nuove esigenze d’uso, piuttosto che modelli originali nel disegno e nella concezione.
Nonostante le incertezze degli inizi, e le resistenze di chi, già in pieno ventesimo secolo, considerava un vezzo tutt’altro che maschile allacciare al polso l’orologio a mo’ di braccialetto, i tempi erano maturi per innescare un’autentica rivoluzione nel mondo dell’orologeria, tale da cambiare costumi ed abitudini rimasti come immobili per secoli.

 

Una crescita straordinaria
Nasceva l’orologio da polso, e contemporaneamente l’Europa occidentale veniva sconvolta dalla prima guerra mondiale. Lo spettacolo inedito dei primi carri armati, messi in campo dagli inglesi nella battaglia della Somme, ispirò a Louis Cartier un altro celeberrimo orologio: si chiamò Tank, dal nome con cui i soldati avevano ribattezzato gli strani mostri da guerra. Era il 1916, e a guerra finita erano pronti i primi esemplari di quella che sarebbe diventata un’autentica dinastia.
Anche laddove non fu la musa ispiratrice, la guerra metteva in evidenza la necessità di segnatempo affidabili e resistenti; ma, soprattutto, pratici da consultare: una prerogativa, quest’ultima, che con ogni evidenza non apparteneva più ai vecchi cipolloni da tasca. I più grandi orologiai dell’epoca raccolsero la sfida: bisognava lavorare sui movimenti, ripensandone le dimensioni e il sistema di carica, ad esempio; o sulla casse, più esposte a polvere e umidità, per non parlare degli urti. E poi c’era l’estetica: un dettaglio tutt’altro che trascurabile, considerando la visibilità dei nuovi modelli!
Sarebbe troppo lungo raccontare quali e quanti progressi abbia compiuto l’orologeria nel periodo compreso tra le due guerre. Basti pensare che già negli anni Venti fu praticamente risolto il problema dell’impermeabilità della cassa. Ci pensò la Rolex, che nel 1927 lanciò la cosiddetta cassa “oyster”, con tanto di testimonial e abbondante risonanza sulla stampa dell’epoca: la traversata della Manica a nuoto dell’inglese Mercedes Gleitze (naturalmente con il suo Rolex Oyster al polso, riemerso in perfetta efficienza dopo ben 15 ore e 15 minuti d’immersione) fece scalpore! Intanto, nel 1924 era stato brevettato il sistema di ricarica automatica di John Harwood, e nel 1931 la Rolex lanciò il movimento “perpetual”. I cronografi furono dotati di un secondo pulsante per il ritorno a zero, mentre venivano realizzati i primi tourbillon da polso e i primi World Time.
Nacque nel 1931 il Reverso di Jaeger-LeCoultre, uno degli orologi di maggior successo di tutti i tempi. Alla ricerca della sua origine arriviamo addirittura in India, dove alcuni ufficiali britannici, abituali giocatori di polo, avanzarono la richiesta di un modello con quadrante protetto da indossare, senza conseguenze irreparabili, anche durante una partita di polo. Jacques-David LeCoultre ed Edmond Jaeger, già in ottimi rapporti di collaborazione e di lì a poco soci della prestigiosa Manifattura di Le Sentier, misero allora in campo il loro “gioiello” con la cassa ribaltabile. Per ironia della sorte, quest’orologio sportivo per eccellenza scoprì quasi per caso la sua anima più elegante, e ben presto si diffuse la consuetudine di personalizzarne il retro con monogrammi, stemmi di famiglia e quant’altro: addirittura ci fu chi, come il maharajah di Karputala, ordinò cinquanta esemplari del Reverso con la sua effigie smaltata!
Nello stesso anno la Longines lanciava il suo Lindbergh Hour Angle, un importantissimo strumento di bordo alla cui ideazione partecipò attivamente lo stesso Charles Lindbergh, l’applauditissimo protagonista del primo volo transatlantico senza scalo tra Parigi e New York, a bordo del monoplano “Spirit of St. Louis””, in 33 ore e 32 minuti.
Ma la guerra era di nuovo vicina. E questa volta gli orologi realizzati a scopi militari furono davvero tanti, tecnicamente ed esteticamente assai diversi da quelli del primo conflitto mondiale. L’impegno riguardò praticamente tutte le più grandi Case orologiere. Ad alcune impose dolorosi cambiamenti produttivi; ad altre, invece, scelte come fornitori ufficiali da parte dei diversi corpi militari dello Stato, offrì nuove opportunità: valgano per tutti gli esempi di Breguet, adottato dall’aviazione francese, e di Officine Panerai, fornitore ufficiale della nostra Marina.

 

L’avventura lunare
Assolti gli impegni bellici, l’orologio da polso conobbe, tra gli anni ’40 e gli anni ’50, una stagione assai felice. Messe da parte le incertezze e le paure legate alla guerra, si poté assistere ad un autentico trionfo di creatività, mentre ormai chiaramente si delineavano due grandi filoni produttivi: da una parte l’orologeria sportiva, impegnata in performance sempre più sofisticate; dall’altra l’orologeria più elegante, che dava all’orologio, definitivamente, i connotati di uno status-symbol.
Era un’epoca di relativa tranquillità, apparentemente poco turbata dai primi esperimenti nel campo dei movimenti elettronici, quando un grande evento catalizzò intorno a sé l’attenzione del mondo intero. Questa volta non si trattava della guerra, ma della straordinaria avventura dell’uomo nello spazio: il sogno inseguito da secoli e che, come per magia, diventava realtà; un evento amplificato dalle immagini in diretta, che tennero incollate davanti agli schermi televisivi centinaia di milioni di persone. Era il 20 luglio 1969, un giorno che l’allora presidente degli Stati Uniti, Richard Nixon, definì “il più importante dopo quello della creazione”. Alle 22, 17´ 40” (ora italiana), l’astronauta Neil Armstrong toccò il suolo lunare; insieme a lui c’erano Edwin Aldrin e Michael Collins, e al loro polso il mitico Omega Speedmaster, l’ottimo cronografo manuale a tre contatori che, a dispetto dei più sofisticati e tecnologici candidati per la storica “passeggiata” sulla luna, aveva dimostrato un’affidabilità ed una precisione straordinarie, diventando l’orologio ufficiale della storica missione del 1969 e delle successive missioni della NASA.

 

L’avvento del quarzo e la rinascita dell’orologeria meccanica
La conquista del cielo non metteva, però, l’orologeria tradizionale al riparo dai più insidiosi “attacchi terrestri”. Come quello che, negli anni ´70, fu sferrato dall’orologeria nipponica: era la grande occasione del quarzo, più preciso e più economico dei vecchi movimenti meccanici. I produttori svizzeri accusarono seriamente il colpo, e molti di loro cessarono di esistere oppure finirono per adeguare la loro produzione alle nuove tendenze. Ciò non accadde ad alcuni grandi nomi, fermamente convinti di un futuro ancora ricco di possibilità per l’orologeria meccanica. Se oggi siamo qui a parlare degli ultimi, straordinari, cent’anni di orologeria, è grazie alla loro ferma determinazione di fare addirittura meglio che in passato o al coraggio di proporre qualcosa di profondamente innovativo. Nasce in questo contesto il Royal Oak di Audemars Piguet, datato 1972, ufficialmente riconosciuto come il primo orologio di lusso in acciaio. E non dimentichiamoci di Swatch, la geniale risposta svizzera all’orologeria orientale basata su prezzi fortemente competitivi, ma per orologi rigorosamente “Swiss made”.
Forse oggi possiamo affermare con sicurezza che, come in passato, anche negli anni settanta e ottanta l’orologeria ha saputo trarre qualcosa di buono dagli eventi che sembravano travolgerla. Esattamente: la consapevolezza del proprio valore e della propria identità. Su questa consapevolezza, che appartiene alle Case orologiere ma anche, e soprattutto, al pubblico, si innesta la grande rinascita dell’orologeria di fine millennio. Vi hanno diritto di cittadinanza sia gli orologi meccanici che quelli al quarzo, a patto di non dimenticare mai che l’orologio non è un freddo strumento di misurazione del tempo, ma un oggetto ricco di storia e di cultura.

“Già negli anni Venti fu praticamente risolto il problema dell’impermeabilità della cassa.”

Uno dei primi Santos realizzati dalla Maison Cartier: è in platino e risale al 1913. Foto tratta da: J.Barracca, G.Negretti, F.Nencini, Le Temps de Cartier, Ed. Publiprom.

l Reverso del 1931, con cassa in acciaio. Foto tratta da: M.Fritz, Reverso. La leggenda vivente, Ed. Braus.

L’odierna versione del Royal Oak di Audemars Piguet è rimasta pressoché invariata rispetto al primo modello presentato nel 1972.

Una foto che ha fatto il giro del mondo quella che ritrae Edwin Aldrin con uno Speedmaster al polso destro! L’orologio era allacciato sopra la tuta spaziale mediante un largo cinturino in velcro. Foto tratta da: Omega – Storia di una grande marca.

Omega Speedmaster Moonwatch, fedele riproduzione dell’orologio utilizzato nella storica missione del 1969. Foto Omega.

Broad Arrow, orologio della linea Speedmaster di Omega, con movimento cronografico esclusivo certificato dal COSC. Foto Omega.

Articolo a cura di Antonella Garello e Marina Morini

Testo e foto sono tratti dal libro dell’Antica Orologeria Candido Operti

Racconti Preziosi 2005